In an icy cave which seems to have survived the apocalyptic end of the world described in Cats’s cradle, an African man finds refuge.[ read more ]
In an icy cave which seems to have survived the apocalyptic end of the world described in Cats’s cradle, an African man finds refuge.
It is the refrigeration room of a former greengrocer’s in Torpignattara, a place in which, over time, numerous micro-stories of daily work have become stratified and ingrained in the tuff-stone structure, and which now goes back to its original usage, preserving with ice a precious asset: the hybrid identity of the world. Here, different ethnic groups and tales of water blend, merge without hierarchies or wars, transforming the room’s space into a utopia that is inclusive, but destined to fail. A protected place in which the man, the last person left to guard the thousands of identities on the planet, cannot possibly survive.
A little further on, the same man embraces his memories and loses them. They are enclosed in a frozen block of ice: a history that melts in one’s hands. It is ice, once again, that guards the stories of a migrant, consisting of physical labour and emotional torment, of journeys undertaken but leading nowhere. Then a range of characters: Obama, Assange, Stuart Mill, as well as migrants from Africa or Bangladesh.
They are protagonists in a series of portraits in which there is liquidness, but not limpidness or sharpness, faces that are always out of focus and transmit a state of permanent uncertainty. Each portrait is flanked, and completed, by a surface of ice which, with transparency and clammy intrigue, recounts the steep path that everyone faces in the search for their own identity. The above-described works presented by Angelo Bellobono at Wunderkammern for the exhibition, Characters [the performance And then there was the ice, the video Africa(n)ice and the series of paintings On liberty], pursue his research into the body as a place where identity is defined, and represent an initial introduction to the Afrika(n)ice project, which will be created in 2012 in the mountains around Marrakesh.
There, the relational vocation of his work will encounter the autobiographical experience of the athlete, in a project which will combine ski courses and workshops in contemporary art, with a disconcerting outcome, just like that of creating an encounter between Stuart Mill and Obama, or between ice and Africa in a Torpignattara refrigerator room. With the project in this exhibition, Bellobono reflects anew on the forms of control that society exercises over individuals, and how this limits every individual’s potential for development, a theme that was tackled, amongst others, by the father of liberal thought, Stuart Mill, who served as inspiration to the artist in the series of diptychs whose title recalls the essay, On Liberty.
The project reflects upon power and its devices, on the pettiness of its mechanisms that work like water, flowing into the body of the individual, penetrating it, transforming it, prompting its behaviour and choices. The scene of solitude and bewilderment in And then there was the ice is thus the apocalyptic outcome of a transformation process in which “the levelling out of the conditions of life has created greater progress than the spirit of liberty” due to the degeneration of a system which has crushed diversity, in a trend towards both intolerance and standardisation. So, all the same or all different? Following the plots in ice, Bellobono’s work reveals the ambiguity of this question and the existence of subliminal forms of prevarication.
The restrictions on individual freedom occur both by offending the body through violence, and also by transforming and normalising it through the fluidity of a widespread way of thinking, which standardises appearances and behaviours, which teaches fear, which imposes a hierarchy and disaccustoms one to diversity. And which thus thwarts the development of a possible equality of conditions, the only guarantee in developing freedom of choice for everyone.
(Simona Antonacci)
In una grotta ghiacciata che sembra scampata all’apocalittica fine del mondo di Cats’s crudle, un uomo africano trova il suo rifugio. È la cella frigorifera di un ex frutteria di Torpignattara, luogo in cui tante microstorie di lavoro quotidiano si sono nel tempo stratificate e connaturate al tufo, che torna al suo primo utilizzo, conservando nel ghiaccio un bene prezioso: l’identità meticcia del mondo. Qui le diverse etnie e storie dell’acqua si fondono, si mescolano senza gerarchie o conflitti, trasformando la cella nel luogo di un’utopia inclusiva ma destinata a fallire, uno spazio protetto in cui l’uomo, l’ultimo rimasto a custodire le mille identità del pianeta, non può sopravvivere. Poco più in là lo stesso uomo abbraccia le sue memorie, e le perde. Sono racchiuse in un blocco gelato: una storia che si scioglie tra le mani. È ancora il ghiaccio che custodisce le storie di un migrante, fatte di fatiche fisiche e tormenti emotivi, di viaggi intrapresi e di approdi mancati. Poi una carrellata di personaggi: Obama, Assange, Stuart Mill, così come migranti dell’Africa o del Bangladesh. Sono i protagonisti di una serie di ritratti in cui emergono le liquidità, ma non la limpidezza né la definizione, volti mai a fuoco che trasmettono uno stato di permanente incertezza. Ogni ritratto è affiancato, e completato, da una superficie di ghiaccio che narra con trasparenze e trame vischiose il percorso scosceso affrontato da ognuno nella ricerca della propria identità. I lavori appena descritti presentati da Angelo Bellobono a Wunderkammern per la mostra Characters [la performance And then there was the ice, il video Africa(n)ice e la serie di dipinti On liberty] proseguono la sua ricerca sul corpo come luogo di definizione dell’identità e costituiscono una prima presentazione dell’Afrika(n)ice project, che verrà realizzato nel 2013 nelle montagne nei pressi di Marrakech. Qui la vocazione relazionale del suo lavoro si unirà all’esperienza autobiografica di atleta in un progetto che coniugherà corsi di sci e workshop di arte contemporanea per un risultato spiazzante, tanto quanto far incontrare Stuart Mill e Obama, il ghiaccio e l’Africa in una cella frigorifera di Torpignattara. Con il progetto in mostra Bellobono aggiorna la riflessione sulle forme di controllo che la società esercita sugli individui e sul modo in cui questo limita le possibilità di sviluppo di ognuno, tematica affrontata, tra gli altri, dal padre del pensiero liberale Stuart Mill, cui l’artista si è ispirato per la serie di dittici che riprendono nel titolo il saggio On liberty. Il progetto riflette sul potere e sui suoi dispositivi, sulla meschinità dei suoi meccanismi capaci di agire come l’acqua per arrivare dentro il corpo del singolo, di penetrarlo, trasformarlo, indurne il comportamento e le scelte. Lo scenario di solitudine e di spaesamento di And then there was the ice è così risultato apocalittico di un processo di trasformazione in cui «il livellamento delle condizioni di vita ha compiuto maggiori progressi dello spirito di libertà» a causa della degenerazione di un sistema che ha appiattito la diversità, in direzione tanto dell’intolleranza quanto dell’omologazione. Tutti uguali o tutti diversi, dunque? Seguendo le trame del ghiaccio il lavoro di Bellobono svela l’ambiguità di questa domanda e la presenza di forme di prevaricazione subliminali. Le restrizioni della libertà individuale agiscono sia offendendo il corpo con la violenza, sia trasformandolo e normalizzandolo attraverso fluidità di un pensiero diffuso che omologa l’apparenza e i comportamenti, che insegna la paura, che impone la gerarchia e disabitua alla diversità. E che nega dunque lo sviluppo di condizioni di possibilità ugualitarie, unica garanzia allo sviluppo della libertà di scelta di ognuno.
(Simona Antonacci)